Stabilimento in etichetta, torna l’obbligo per i prodotti alimentari italiani
10 ottobre 2017Qualche giorno fa, è stato approvato in via definitiva il decreto legislativo che reintroduce l’obbligo di indicare sulle etichette lo stabilimento di produzione o confezionamento. Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per lo smaltimento delle etichette già stampate, e fino a esaurimento dei prodotti etichettati prima dell’entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio.
L’Italia ha stabilito la sua reintroduzione al fine di garantire – per tutti i prodotti alimentari preimballati – oltre che una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
Il testo approvato prevede che l’indirizzo dello stabilimento potrà venire omesso nei seguenti casi:
- la citazione della località o della frazione, è sufficiente a identificare l’impianto
- la sede dello stabilimento è compresa nel marchio, cioè quando coincide con quella dell’operatore responsabile
- la confezione riporta un marchio di identificazione o un bollo sanitario
I controlli saranno affidati all’ICQRF presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) è uno dei maggiori organismi europei di controllo dell’agroalimentare.
«Un impegno mantenuto – ha commentato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina – nei confronti dei consumatori e delle moltissime aziende che ne hanno chiesto il ripristino. Continuiamo il lavoro per rendere sempre più chiara e trasparente l’etichetta degli alimenti, una chiave fondamentale di competitività e utile per la migliore tutela dei consumatori. I recenti casi di allarme sanitario ci ricordano quanto sia cruciale proseguire questo percorso soprattutto a livello europeo».
Prima di arrivare al decreto legislativo di qualche giorno fa, ne erano stati presentati due a Bruxelles: il primo era stato notificato il 4 aprile 2017 ma congelato dalla Commissione (perché non conforme al regolamento Ue n. 1169/2011), ritirato dal Governo italiano e poi corretto e rinotificato lo scorso 3 agosto specificando che l’obbligo di etichetta riguardava i prodotti trasformati preimballati ad esclusione di quelli imballati, sostanzialmente quelli per la vendita diretta. Con una rimodulazione dell’ammontare delle sanzioni.
Ma anche su questo decreto Bruxelles avrebbe obiettato che la distinzione fra prodotti preimballati trasformati e non trasformati non è corretta: la Commissione per “tipi e categorie specifiche di prodotti” identifica specifiche categorie merceologiche. Inoltre veniva indicato che la strada per formulare la richiesta di mantenimento dell’obbligo è nell’art. 114 del Trattato e nelle giustificazioni dell’art. 36.
Lo stesso decreto introduce (dopo 3 anni) le sanzioni per chi trasgredisce agli obblighi informativi nei confronti del consumatori previsti proprio dal Regolamento 1169/11.
Per esempio, chi omette di segnalare gli ingredienti allergenici ( un’assenza che può essere fatale per chi è intollerante a una certa materia prima) rischia forse troppo poco: dai 2 ai 16mila euro di multa. E chi non indica il termine minimo di conservazione (Da consumare preferibilmente entro il…)? Va incontro a una multa tra 1 e 8mila euro. Più corpose le penalità pecuniarie per il venditore che mette in vendita un alimento dopo la scadenza: rischia di pagare fino a 40mila euro.
Federconsumatori da sempre sta dalla parte dei cittadini consumatori e vuole sottolineare che gli obblighi sopracitati non sono del tutto soddisfacenti, soprattutto perché entreranno in vigore solo per chi produce o confeziona in Italia ed esclude gli stabilimenti che stanno all’estero ma commerciano e operano anche nel nostro Paese.
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