Quanti Hikikomori nelle nostre case

24 febbraio 2017

Hikikomori è un termine giapponese molto usato anche da noi, e si riferisce a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Se ne sente frequentemente parlare in tv, giornali, convegni politici, soprattutto riferendosi al grave problema occupazionale dei nostri giovani.

Ormai le percentuali di disoccupazione giovanile, ma non solo, segnano un record dietro l’altro e questo stato di cose non può e non deve continuare.

Il fenomeno credo sia molto più grave di quanto denunciato e diffuso dalle rilevazioni statistiche. Stando anche a quanto ci è consentito di rilevare anche in forma indiretta dai contatti quotidiani che abbiamo nei nostri sportelli per le problematiche più varie. Molto più grave perché le statistiche sono, per loro natura, portate a semplificare .

Voglio citare due esempi che possono aiutarci a capire meglio.

Il fenomeno degli Hikikomori, presente in Giappone già dalla prima metà degli anni ottanta, si diffonde sempre di più e in maniera preoccupante in buona parte del mondo, in Europa e Italia. Forse l’accostamento della problematica della disoccupazione giovanile a quello degli Hikikomori è azzardato ma senza dubbio ci sono molti aspetti simili.

Gli Hikikomori sono oggetto, oltre che di preoccupazione sociale, di studio e attenzione sotto diversi aspetti: sociologico, comportamentale , psichiatrico, di tendenza moderna…

La caratteristica fondamentale di queste persone si manifesta con la chiusura nei propri spazi, il ritiro dalla vita sociale, l’isolamento estremo, i videogiochi, l’inversione del ritmo sonno veglia.

Fenomeno simile la cui attenzione ha avuto origine nel Regno Unito e si sta diffondendo rapidamente in altri paesi del mondo, come Giappone, Cina, Corea del Sud e Italia riguarda quello dei NEET identificati con l’acronimo inglese “Not (engaged) in Education, Employment, or Training”  ovvero persone non impegnate nello studio, né nel lavoro, né nella formazione.

La fascia di popolazione considerata nella classificazione riguarda quella compresa tra i 16 e i 24 anni inizialmente e poi con la diffusione nei vari stati riferita ad una fascia di età più ampia compresa tra i 15 e 29 anni e oltre. In Italia nel 2016 secondo l’ OCSE si stima che i NEET siano oltre un terzo tra i giovani tra i 20 e 24 anni e tra il 2005 e 2015 la loro percentuale è aumentata in misura superiore rispetto agli altri paesi Ocse di + 10 punti.

Sono due esempi di fenomeni in crescita che evidenziano sempre più il malessere dei nostri giovani e più in generale delle nostre società sempre più carenti di offerta di prospettive di vita interessanti e di valori importanti, con sfiducia nella politica, assenza di modelli solidali fatto salvo alcuni esempi lodevoli per lo più legati alla chiesa, opportunità non equamente diffuse, eccessivo invito all’ emulazione, alimentata da proposte di modelli consumeristici voraci.

Senza divagare eccessivamente nel sociologismo, tutti siamo interessati ai giovani , da molti citati, strumentalmente, ma, dobbiamo rilevare che le risposte sono nulle o perlomeno assai insufficienti da parte della politica soprattutto, ma anche dall’economia, dalla scuola e da tutte quelle altre istituzioni coinvolte.

Angelo D’Adamo

Presidente Federconsumatori Trieste