I negoziati TTIP sono davvero falliti? Secondo il ministro dell’economia tedesco sì, lo sono

02 settembre 2016

Da molto tempo su giornali e telegiornali, italiani e stranieri, è facile trovare questa sigla: TTIP. Con questa sigla si intende il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti. TTIP è un acronimo dell’espressione inglese “Transatlantic Trade and Investment Partnership”; si tratta di un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziazione tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. In precedenza veniva chiamato TAFTA, da area transatlantica di libero scambio, riprendendo l’acronimo di altri simili trattati già esistenti con altri paesi del continente americano.

Qualche giorno fa Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia e vice cancelliere della Germania, ha dichiarato che i negoziati tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti sul TTIP, il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, sono «di fatto falliti, anche se nessuno lo ammette». Questa vicenda negoziale si riferisce ad un possibile accordo che, qualora realizzato, comporterebbe molti cambiamenti nei rapporti commerciali tra gli stati dell’UE e gli Stati Uniti. Tali cambiamenti si prefiggono di aprire una zona di libero scambio in quattro settori (merci, servizi, investimenti e appalti pubblici) uniformando e semplificando le norme commerciali tra le due parti attraverso l’abbattimento delle differenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB).

Dall’inizio dei negoziati, iniziati e proseguiti in ambiti “riservati” a delegazioni tecniche con una grande difficoltà di accesso agli atti anche per i parlamentari europei, si sono susseguite diverse prese di posizioni critiche sia da parte di movimenti di opinione che da alcuni settori politici. La contrarietà nasceva e nasce dall’ispirazione fondamentale del trattato volta a promuovere una globalizzazione dei mercati che scavalca alcune norme di garanzia fondamentali che riguardano la salubrità/innocuità dei prodotti e le tutele del lavoro e dell’ambiente. Tale intento di deregolamentazione avrebbe dovuto riguardare anche la sovranità statale in campo giudiziario qualora questa fosse entrata in collisione con le attese di profitto degli investitori.

Dal nostro punto di vista di associazione dei consumatori non possiamo che ribadire un’esigenza fondamentale di trasparenza democratica in qualsiasi accordo sovranazionale (normalmente disattesa dalla prassi di decisioni in campo economico assunte da organismi “tecnici” privi di legittimazione democratica) ed una valutazione di merito in base alla quale il meccanismo della concorrenza, sicuramente fondamentale all’interno di un’economia di mercato, non può comportare l’abolizione di regole che salvaguardano aspetti fondamentali della vita sociale quali la tutela del lavoro, quella ambientale e la sicurezza/salubrità delle produzioni.